Unici in Italia, i lingotti etruschi di Castelfranco

Tra i suoi reperti, il museo archeologico della città emiliana annovera un deposito di un centinaio di barre e frammenti di rame e ferro a marchio “aes signatum” con il ramo secco.

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Il 17 dicembre scorso, ad un anno esatto dalla sua inaugurazione, il Museo civico archeologico A. C. Simonini di Castelfranco Emilia (MO) ha organizzato una rievocazione storica per rappresentare il banchetto, uno dei momenti più importati della società etrusca. In questa occasione, oltre a rivivere un aspetto primario dell’antica cultura italica, è stato anche possibile compiere una visita guidata con la direttrice e archeologa Diana Neri.

La nuova esposizione museale

Con la nuova esposizione, il  Museo ha ampliato il numero di reperti esposti, ripensando completamente le modalità espositive: il percorso attuale, con sede in Palazzo Piella, organizzato su base cronologica e per contesti territoriali, è stato progettato per consentire al visitatore di ripercorrere l’intera evoluzione delle vicende legate al popolamento del suo territorio ed incentivare, nello stesso tempo, l’attenzione sui reperti esposti

Nell’androne centrale del museo, inoltre, si trova una moderna strumentazione multimediale, un ambiente immersivo che regala un excursus storico del territorio circostante. Il nuovo museo è costituito da 4 sale espositive, differenziate per epoca storica, e dal salone d’ingresso, dove è stato allestito il grande videowall con, in motion, i siti archeologici romani lungo la via Emilia, quelli medievali e i siti etruschi del Forte Urbano e del deposito di lingotti di Riolo “Aes Signatum”.

Gli straordinari reperti dell’Età del Ferro

Tra gli oggetti esposti, particolare rilievo assume il deposito di lingotti metallici ritrovato nel 1897 in frazione di Riolo, databile tra il VI e V secolo a.C. I lingotti sono composti da rame e ferro, e molti di essi sono contrassegnati da un marchio a forma di “ramo secco”, per questo chiamati “aes signatum”. Nel corso di due distinte analisi è stata evidenziata l’assenza di stagno, indispensabile per realizzare il bronzo. In origine i 59 lingotti, le 21 barre ed i 19 frammenti irregolari di metallo che compongono il deposito vennero ritrovati all’interno di un grande vaso di ceramica, probabilmente un dolio, andato perduto durante le vicende che compresero la vendita dei lingotti a vari musei italiani ed esteri ed il loro successivo recupero da parte della Soprintendenza archeologica dell’Emilia Romagna alla fine degli anni ’60 del secolo scorso.

Fibula in ferro a forma di drago.

È stato ipotizzato che i lingotti siano stati prodotti utilizzando la stessa matrice a due valve in argilla, a causa dei bordi irregolari di alcuni reperti e delle imprecisioni nella forma, segni che indicano l’usura della matrice stessa. Il motivo del ramo secco aveva probabilmente una duplice funzione: oltre a costituire un autentico marchio di fabbrica, esso facilitava lo scorrimento del metallo fuso nella forma di argilla.

Esempio di lingotto con marchiatura a ramo secco.

Questi lingotti sono oggetto tutt’oggi di un dibattito scientifico che ne riguarda la funzione: in un primo momento si pensò potessero considerarsi una forma di stoccaggio del metallo, agevolato dalle dimensioni compatte. Successivamente si iniziò a considerare questi reperti in un’ottica di mezzi di scambio premonetale, utilizzati a volte anche come offerta simbolica in contesti votivi.

Un deposito unico in Italia

Nel corso della visita, Diana Neri ha spiegato che “questo deposito di lingotti risulta ad oggi il più cospicuo d’Italia sia per quanto riguarda il numero totale dei frammenti sia per quelli con il segno del ramo secco”.

A conclusione del tour, la Direttrice ha ribadito l’importanza dei sistemi museali, a qualsiasi livello, nell’organizzazione dell’offerta culturale e turistica tanto che oggi “molta attenzione viene posta sui modelli di diffusione delle informazioni che non possono più essere solo esposizioni statiche, ma devono contemplare il progressivo e costante rapporto tra il visitatore e lo spazio. Le sale caratterizzate dalle vetrine possono così trovare una nuova dimensione architettonica e comunicativa con l’adozione di “totem” digitali funzionali alla spiegazione di contenuti.

 

https://museocastelfrancoemilia.it/

Lamberto Mazzotti